a cura di Antonella Pietrelli
Quello che per noi italiani è il senso della convivialità, la scusa per una chiacchiera, per molti ha “poteri” unici… Ma è possibile che il caffè abbia poteri ancora più “magici”? Potrebbe non so, portarci indietro nel tempo? Be’ secondo Toshikazu Kawaguchi sì, può eccome e ce lo racconta in “Finché il caffè è caldo”. Probabilmente in questa recensione sarò #logorroica e prolissa nel mio turpiloquio di opinioni, però Signori e Signore siamo di fronte alla miglior lettura del 2020. Giappone, Tokyo. Caffetteria in centro città, aperta da un centinaio di anni. È questa l’ambientazione in cui si evolve tutta la narrazione.
Non è semplice trovarla, perché è lei stessa a farsi trovare, una sorta di “stanza delle necessità” di Harry. Ma chi ne ha bisogno? una ragazza con il cuore spezzato; un marito ed una moglie che stanno affrontando la perdita dei ricordi: due sorelle che devono perdonarsi; una madre e una figlia che hanno bisogno di ricucire il loro rapporto. Sono questi i personaggi che incontreremo nel corso della lettura, sono questi che vorrebbero tornare indietro e poter cambiare il passato. Potrei dirvi che le quattro storie hanno il sapore del caffè, un po’ dolce e un po’ amaro; potrei dirvi che ognuna di queste storie ci fa riflettere sul senso della vita, sull’amore, sulla forza dei ricordi, sulla famiglia e anche sulla morte. Potrei dirvi che è stato un vortice di emozioni: mi sono commossa, ho pianto, mi sono arrabbiata e ho sofferto tutto questo in solo 177 pagine. Mi limiterò a dirvi che questo libro mi ha regalato la speranza di ritrovarmi anche io seduta ad un tavolino in una caffetteria della mia città, con un caffè caldo davanti: avrei il coraggio di tornare indietro e cambiare il mio passato?